Leggo un articolo secondo cui “gli animali non ci guardano più”, ma siamo noi che guardiamo e fotografiamo gli animali senza vederli come esistenze autonome.
Questo pare perché la società contemporanea non rinuncia a dare la propria forma all’”altro” negando l’antico legame tra la dimensione umana e non umana dei nostri compagni di viaggio.
In parole povere non ci meravigliamo più del “segugio paladino del risparmio” e di altri animali protagonisti di spot pubblicitari che ci propinano prodotti di facile consumo o che posano in ironici selfie pronti per un’autonoma condivisione in rete.
Nella rappresentazione visiva degli animali si passa dalla classica icona infantile dei gattini e cuccioli canini che sguazzano in rete alla visione di animali catapultati in spazi temporali alterati e del tutto avulsi dalla realtà.
Un mondo animale nel quale regna la legge dell’assurdo, una natura immersa in un non-luogo, in un limbo spaziale indefinito ed ignoto.
Noi spettatori abbiamo sempre più l’idea di un mondo animale concentrato in una dimensione straniante, tra realtà e allucinazione.
Tra una pagina e l’altra penso all’amico fotografo Edmond Kaceli che con i suoi scatti ci riporta semplicemente alla naturale fascinazione che, come umani, abbiamo verso gli animali e senza fronzoli traduce visivamente l’esigenza di rappresentare l’altro, l’animale.
A differenza di quanto vediamo nelle immagini di pubblicità e di moda, gli animali di Edmond non sono le metafore di vizi e virtù umane ma il serpente è un serpente, una volpe una volpe e così via.
Le fotografie di Edmond abbandonano completamente il cliché del tradizionale schema animale/oggetto (compreso il canonico reportage descrittivo e illustrativo tipica di una fotografia animalista militante).
Edmond semplicemente li fotografa, li immortala con la maestria che lo contraddistingue. Edmond li rappresenta portandoci alla considerazione e al rispetto degli animali come “altro che esiste come altro”.
In fondo, come scriveva Pessoa, l’uomo non sa di più degli altri animali; ne sa di meno. Loro sanno quel che devono sapere. Noi, no.
Claudio Lorenzoni