Alla vigilia dei miei primi 51 anni credo di non aver mai letto Moby Dick di Herman Melville. Forse avrò sfogliato qualche edizione illustrata ai tempi della scuola, forse avrò visto qualche film in bianco e nero. Ammetto di non avere memoria certa in merito.
Qualche giorno fa, durante una ricerca online, mi sono imbattuto su un articolo che ha rapito la mia attenzione: “Moby Dick, Cesare Pavese. E il podismo”. Ovviamente sono sobbalzato sulla sedia e ho letto tutto d’un fiato.
“Achab si scosse dalla sua immobilità e, come non avesse accanto neanche un’anima, riprese le sue volte pesanti in coperta…perché assistessero a un’impresa podistica“.
“Impresa podistica”?
Cosa c’entra il capitano Achab con il podismo? Come è venuta in mente a Melville quella metafora? E Cesare Pavese come si è orientato nella traduzione del testo originale che recita “pedestrian feat“?
Pavese aveva tradotto il libro nel 1941 e in quel periodo il podismo era praticato, in una serie di varianti, in tutto il mondo. Ma Melville? Che scrisse Moby Dick quasi 100 anni prima?
Melville sicuramente conosceva le competizioni di “pedestrianism” (una specie di corsa campestre) e, forse, gli era anche capitato di assistere a una di queste gare, in America o durante uno dei suoi viaggi in Inghilterra. Chissà.
Ma torniamo alla traduzione di Pavese.
Mi piace pensare che Cesare nostro, abbia voluto omaggiare “la fatica” di quei pochi podisti dell’epoca, uno su tutti Dorando Pietri celebre per aver vinto (e poi perso) la maratona alle Olimpiadi del 1908. Ricordo di aver visto anni addietro una fiction a lui dedicata, interpretata magistralmente da Luigi Lo Cascio.
Da ultra runner non riuscite a immaginare quanto vorrei sapere il perché Cesare abbia voluto usare quelle parole. Qualcuno mi può aiutare?
“Cesare! Cesare mio, pretendo una risposta!”
Soprattutto dopo aver ultra-corso per cinque anni ispirandomi ai tuoi testi, pensando al tuo vizio assurdo, alla tua voglia di farla finita, alle tue ossessioni e fottute paranoie.
Voglio chiudere questo testo pensando a Cesare intento ad allacciarsi le scarpette da ginnastica, nella sua stanza preferita dell’hotel Roma, pronto ad andare in riva al Po, felice e sorridente, a sgambettare, lasciandosi alle spalle, almeno per un giorno, tutti i brutti pensieri.
Ps: alla soglia dei miei primi 51 anni ho acquistato una copia di Moby Dick o La Balena, tradotto ovviamente da Cesare Pavese.
Claudio Lorenzoni